L’elevato tasso di ricaduta che caratterizza il tumore alla prostata potrebbe essere attribuibile anche agli effetti delle terapie ormonali impiegate per contrastarlo. A sostenerlo, attraverso l’analisi di un modello matematico elaborato per simulare il decorso della malattia, e’ uno studio condotto da un team dell’Istituto di chimica biomolecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Icb-Cnr) di Napoli in collaborazione con il dipartimento di matematica dell’Universita’ di Portsmouth, in Inghilterra, pubblicato su Cancer Research e segnalato nei “Research Highlights” di Nature Review Urology. “Nella pratica clinica la crescita del carcinoma prostatico si contrasta mediante terapie mirate a sopprimere la produzione degli ormoni maschili (androgeni) responsabili sia dello sviluppo dell’apparato genitale sia della progressione della malattia. Tuttavia, questo tipo di tumore spesso sviluppa una resistenza a questi trattamenti ormonali, ovviamente associata a una ripresa della malattia”, ha spiegato Alessia Ligresti dell’Icb-Cnr. a In tale refrattarieta’ del tumore verso le cure, si riteneva gia’ – ha continuato – che un ruolo fondamentale fosse svolto dall’attivita’ delle cellule neuroendocrine formatesi a partire da quelle tumorali. L’obiettivo della nostra ricerca, quindi, era quello di fare chiarezza sui meccanismi biologici alla base di questo fenomeno”. Un particolare protocollo di differenziamento neuroendocrino messo a punto dai ricercatori ha permesso di riprodurre in vitro quello che accade nei pazienti sottoposti a terapie ormonali. “Le cellule tumorali sottoposte a lungo a deprivazione androgenica, cioe’ all’abbassamento dei livelli di androgeno, si sono differenziate in cellule di tipo neuroendocrino apparentemente benigne, simulando quanto avviene nella fase di regressione della malattia“, ha detto Ligresti. “L’analisi Nmr (Risonanza magnetica nucleare) ha poi evidenziato che le cellule benigne, a differenza di quelle tumorali, producono – ha proseguito – un’abbondante quantita’ di un precursore dell’androgeno. Grazie allo sviluppo di un modello matematico e’ stato possibile predire il comportamento di queste cellule per tempi piu’ lunghi (400 giorni) di quelli sperimentali e dimostrare che, quando i livelli di androgeno prodotti dalle cellule neuroendocrine sane raggiungono livelli critici, si osserva la ripresa delle cellule tumorali residue. In questo modo i ricercatori hanno potuto costatare come quello che inizialmente sembra essere un effetto positivo dei trattamenti ormonali, e cioe’ la trasformazione delle cellule malate in cellule sane, potrebbe in realta’ promuovere la successiva ricomparsa del carcinoma nella forma resistente”. I ricercatori intendono confermare tale ipotesi utilizzando modelli animali e campioni biologici di origine umana. (AGI)