Malgrado i progressi evidenti compiuti dalle ultime generazioni (per effetto – per una volta benefico – della globalizzazione, e soprattutto grazie all’opera di diffusione orizzontale operata dai social network), la tara delle lingue straniere rimane per gli italiani un complesso estremamente difficile da superare, che affligge sia le nostre potenzialità lavorative che, in alcuni casi, i rapporti sociali (se proiettati al di fuori dei confini nazionali). Per questo motivo è bene sfatare almeno un paio di luoghi comuni.
Alcuni stereotipi sugli italiani e la lingua inglese
Primo: non è vero che gli italiani sono poco portati per le lingue. Si tratta di una convinzione erronea, frutto più che altro di un atavico complesso di inferiorità. In realtà, essendo un popolo ontologicamente vocato nei confronti della comunicazione, abbiamo un talento innato nell’apprendimento degli altri idiomi, come possono testimoniare molti stranieri – in particolare di madrelingua inglese – che ci ascoltano parlare nella loro lingua. A farci difetto sono essenzialmente tre cose: in primis, un certo gap nella pronuncia delle lingue nordiche, in particolare inglese e tedesco, dovuto allo scarso “allenamento” di alcune tipologie di fonazione non previste dall’italiano; secondariamente, un ordinamento scolastico che, per quanto riguarda l’istruzione dell’obbligo, non ha mai messo la lingua inglese (e ancora meno le altre) al centro dei propri programmi; e in terza battuta, una nostra innata “timidezza” nell’esprimerci in lingue diverse dalla nostra, retaggio delle prime due cause.
Secondo: non è vero che l’apprendimento di una lingua straniera è un processo che deve essere intrapreso in giovane età, perché da adulti sarebbe molto più difficile, per non dire impossibile, conseguire dei risultati anche solo accettabili. In questo caso il luogo comune assume il sapore aspro dell’alibi. Un alibi che amiamo raccontarci, una volta superata l’età scolare, per giustificare la nostra refrattarietà a cimentarci con qualcosa che ci sembra arcano e misterioso. In realtà si tratta semplicemente di affrontare il processo di apprendimento mediante la giusta metodologia, che ovviamente non può essere la stessa per ogni età.
Proprio la questione metodologica rappresenta la tara di molti corsi di lingua per adulti. In particolare se si parla di inglese (lingua con cui abbiamo una familiarità epidermica, dovuta all’ampio utilizzo di parole inglesi nel nostro lessico quotidiano), in molti percorsi didattici pensati per persone che hanno superato l’età scolare ci si limita a replicare i modelli e le strutture dei corsi scolastici, peraltro spesso “impoveriti” – per non dire ridotti all’osso – per motivi di compressione del tempo a disposizione e di limiti nel numero di lezioni. Logico che, a partire da questi presupposti, siano in molti gli adulti indotti a pensare che, superata l’età dell’apprendimento scolastico, l’inglese sia destinato a restare qualcosa di inavvicinabile, una sorta di codice segreto noto solo a una schiera (in realtà sempre più folta) di iniziati.
I corsi di lingua per fasce d’età: un modo efficace per imparare l’inglese
Fortunatamente, alcune istituzioni, aziende e organizzazioni private stanno cercando di spezzare quella che, alla lunga, somiglia quasi a una superstizione, partendo da presupposti diversi e lavorando, come dicevamo prima, proprio sulla ricerca della metodologia giusta per la fascia d’età interessata. Ad esempio, sempre per quanto riguarda la lingua inglese, i corsi per adulti per il British Council (forse la capofila tra le organizzazioni di cui sopra, almeno per quanto riguarda la proposta didattica e la cura nella definizione di percorsi individuali e di classe) rappresentano una piattaforma di apprendimento multidisciplinare, che comporta una quota di nozioni di base comuni a tutti, per poi diversificarsi a seconda delle specificità dell’allievo. In questo modo, ciascuno ha la possibilità di disporre di un percorso formativo cesellato sulle proprie esigenze, sul proprio livello di conoscenza iniziale, sulle proprie abitudini allo studio, e soprattutto sul tempo e le energie che è in grado di conferire quotidianamente in questa attività.
Quando si parla di metodologia, dunque, si parte proprio da qui: dalla consapevolezza che ogni allievo è diverso e necessita di un percorso ad hoc. Riassumendo in maniera più schematica, si possono fissare i seguenti punti.
Quali sono i fattori che distinguono e caratterizzano a livello didattico un corso d’inglese?
- Età. O, per meglio dire, fasce di età. È persino ovvio sottolineare come un bambino di sei anni, un adolescente, un giovane adulto di età compresa tra i 20 e i 35 anni e un ultraquarantenne abbiano sviluppato abilità cognitive diverse. Alcune le hanno anche perse, o quantomeno ne hanno subito la naturale entropia. Come quella naturale elasticità mentale nell’apprendimento dei nuovi fonemi che è propria dei bambini e che si irrigidisce con il passare degli anni, e sulla quale sono state edificate tutte le già menzionate teorie sull’impossibilità di apprendere una lingua straniera da adulti. Il problema, molto più semplicemente, è che un adulto non procede per istintiva imitazione della fonazione di chi gli sta intorno come fa una mente ancora “scarica” di nozioni come quella di un bambino. Pertanto un percorso didattico basato unicamente sulla riproduzione meccanica di un suono non ha il giusto impatto sull’allievo: l’adulto ha bisogno di contestualizzare, trovare una familiarità e una vicinanza con l’oggetto di apprendimento. Paradossalmente, necessita di una contestualizzazione più complessa e problematizzata, magari legata al proprio quotidiano, per sentirsi più a suo agio e fissare nella propria memoria determinati concetti, parole, regole grammaticali e sintattiche;
- Specificità. A prescindere dalla fascia d’età, anche l’orizzonte referenziale del soggetto determina, almeno in parte, l’impostazione didattica. In altre parole: l’inglese che il manager di una grande azienda che opera in vari paesi è tenuto a conoscere è considerevolmente diverso dall’inglese praticato ogni giorno dal cameriere di un ristorante di Londra nello svolgimento della sua attività lavorativa. Un corso di inglese articolato e modellato su misura deve tenere conto anche di questo: perché se le regole grammaticali e sintattiche di base non cambiano, è ovvio che due professionisti così lontani fra loro dovranno attingere a porzioni diverse del vocabolario, e pertanto avranno necessità di apprendimento di nuove parole ben distinte;
- Abitudine e attitudine allo studio. Non tutti gli allievi sopportano gli stessi carichi di lavoro quotidiani. Molto dipende dall’abitudine, ovviamente, e in questo senso la capacità di studiare, apprendere e memorizzare concetti può essere allenata e migliorata. Ma c’è una quota non trascurabile che dipende dalle capacità individuali, dalla predisposizione e dalla forma mentis dei singoli individui, e questi ultimi aspetti non possono essere negoziati. Di conseguenza, anche l’offerta didattica va calibrata a seconda delle attitudini dell’allievo, provando a incentivarne lo studio ma senza forzare eccessivamente i blocchi.
Ovviamente, esistono anche altri fattori che entrano in gioco: il perfezionamento della pronuncia, ad esempio, è uno di questi, e come già accennato, almeno nel caso dell’inglese, è una tara che è consustanziale alla fonazione della lingua italiana, che è radicalmente diversa. Ma se si tiene conto degli aspetti sopra menzionati e si riesce a modellare un percorso di studi su misura, in poco tempo la presunta insormontabilità del gap linguistico che molti di noi vivono come un parametro inviolabile, sarà superata con uno slancio persino sorprendente.