Un sondaggio di Nature su 6.300 PhD students rivela preoccupanti verità sulla salute mentale dei dottorandi: “L‘ansia e la depressione negli studenti di dottorato sta peggiorando. La salute della prossima generazione di ricercatori ha bisogno di un cambiamento sistematico nel modo di fare ricerca”.
Viene perciò da chiedersi, da cosa deriva questa insoddisfazione? Un primo problema che assilla i dottorandi è certamente l’assenza di stabilità legata alla mobilità imposta: quasi il 40% degli intervistati studia lontano dal proprio paese di origine. Un altro problema importante è dato dall’illusione di essere davvero liberi nella propria attività di ricerca accademica: “Possono sorgere problemi quando l’autonomia in tali questioni viene ridotta o viene addirittura meno, il che è ciò che accade quando gli obiettivi di finanziamento, impatto e pubblicazioni diventano parte dei sistemi di monitoraggio e valutazione formali delle università”.
Le aspettative non soddisfatte possono essere un’altra delle motivazioni dietro questi disturbi. Quasi il 40% degli intervistati ha dichiarato di essere rimasto deluso dall’esperienza di dottorato e solo il 10% ha dichiarato che gli anni trascorsi hanno superato le loro aspettative, un netto calo rispetto al 23% del 2017. Inoltre, un dottorando su tre ritiene che la ricerca accademica non migliorerà in modo sostanziale le sue prospettive di lavoro. Solo il 23% si ritiene molto ben preparato al mondo del lavoro.
Altre difficoltà derivano dal rapporto tra la propria vita privata e professionale: quasi il 40% degli intervistati ha dichiarato di non essere soddisfatto del proprio equilibrio tra lavoro e vita privata; il 76% dei PhD lavora più di 8 ore al giorno, il 25% anche più di 12 ore. Ai ritmi stressanti, che in alcuni casi portano a dover lavorare persino nelle ore notturne, si aggiungono le molestie e discriminazioni personali alle quali i PhD sono esposti durante il loro percorso: un quinto ha dichiarato di averne subite, e la stessa percentuale ha riferito di aver subito bullismo (il 25% delle donne e il 16% degli uomini).
Gli atenei si stanno mobilitando per fornire servizi di supporto psicologico personale: a Brighton si è già tenuta a maggio la prima conferenza internazionale dedicata alla salute mentale e al benessere dei ricercatori all’inizio della loro carriera. Solo il 28% dei giovani ritiene che il proprio supervisore sia davvero consapevole del problema.
Il 56% degli intervistati ha affermato che il mondo accademico è la prima scelta per una carriera, mentre poco meno del 30% ha scelto l’industria e uno su sei ha indicato di preferire un futuro in organizzazioni governative, mediche o non profit.