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“Rientra a lavoro e ti faranno morire”: la storia di Chiara, isolata per una gravidanza

Il mondo del lavoro nel ventunesimo secolo è spietato e le parole di un consulente a Chiara, dipendente di un’azienda nel milanese, lo dimostrano. Lei, isolata da colleghi e dirigendi per la grande colpa di aver avuto un’altra gravidanza a distanza di un anno dalla prima e proprio dopo che nel posto in cui lavora c’è stato un cambio ai vertici. La storia è stata raccontata dal Corriere della Sera.

“Ti conviene accettare l’offerta. Se rientri al lavoro ti faranno morire”, le parole che l’emissario rivolge a Chiara con tono amichevole. Lei lavora in quell’azienda da 15 anni, in pratica da quando è adulta, e non ci sta ad andarsene solo per via dell’arrivo del secondo figlio. “Con il primo figlio nessun problema, tutto era andato secondo le leggi. Ma la seconda gravidanza, circa un anno fa, arriva in un clima totalmente diverso”, racconta dalla sede della Cgil, a cui ha scelto di rivolgersi per chiedere aiuto nell’affrontare la situazione.

Alla donna viene fatto notare un inesistente ritardo nella comunicazione della gravidanza, avviso arrivato in realtà nei termini previsti dalla legge, ma che denota l’impazienza del dirigente nei confronti della dipendente. Come viene specificato, infatti,  “c’è stato un cambio generazionale al vertice dell’azienda familiare e il nuovo ‘capo’ appare subito contrariato quando viene a sapere che Chiara è incinta”.

“Dovevi dirmelo già quando tu e il tuo compagno avete deciso di avere un altro bambino”, aggiunge in seguito, prima di rincarare ulteriormente la dose quando lei le fa notare che nei primi tre mesi di una gravidanza possono succedere molte cose: “Perché, se l’avessi perso non me lo avresti detto?”

Da lì in poi, di fronte all’ostinazione di Chiara a non lasciare il lavoro, la situazione peggiora: Chiara viene a sapere che la persona assunta per sostituirla durante la maternità è stata assunta a tempo indeterminato, mentre dopo il primo approccio del consulente dell’azienda che le propone dimissioni incentivate accompagnate da quella frase (“Ti faranno morire”), al rientro i dirigenti non la ricevono ma le si presenta un altro consulente, che le comunica la scelta di “riposizionarla”. Svolgerà altri compiti mai affrontati prima. Di fronte all’assenza di obiezioni da parte sua, si sente dire, senza più giri di parole, che l’azienda non la vuole più e che se non avesse accettato l’incentivo subito sarebbe stata comunque licenziata al compimento di un anno del figlio.

Anche il rapporto a lavoro, malgrado lei continui a presentassi regolarmente a lavoro, cambia: si ritrova a dover fare fotocopie, malgrado fosse prima responsabile di reparto, a rispondere al citofono (“ma non al telefono“), a triturare documenti e archiviare fascicoli cartacei. Inoltre, dal suo computer non ha accesso alla posta elettronica, né ad altri indirizzi aziendali, non viene coinvolta nelle riunioni e, soprattutto, viene ignorata da tutti. Come quando non riceve le chiavi del nuovo cancello elettrico.

A questo punto la scelta di rivolgersi alla Cgil per cambiare la situazione era inevitabile.

Questo post è stato pubblicato il 8 Ottobre 2019

Redazione

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