La cultura è la chiave per un futuro migliore, e non lo è soltanto per alcuni. Nel 2015 quando l’ondata di flussi migratori in Italia ha raggiunto numeri importanti, il rettore dell’ateneo telematico Uninettuno, Maria Amata Garito, ha pensato che limitarsi a dare vitto e alloggio ai rifugiati non fosse sufficiente. “Sono esseri umani con la loro storia. Vengono da paesi dove esiste tanta intelligenza e tanta cultura, molti di loro hanno già frequentato corsi universitari. La formazione è la chiave per inserirli nella società”. Con questa idea in mente, Garito e i suoi collaboratori hanno ideato un progetto che ha visto la luce nel 2017: l’Università per i Rifugiati, la prima e per ora unica al mondo.
Nei suoi due anni di attività registra già 480 iscritti ai vari servizi e ai diversi corsi di laurea, rifugiati che vengono da 28 paesi e vivono nei campi profughi. Dall’Afghanistan alla Siria, ma anche da Eritrea, Ucraina, Turchia e Bielorussia. 12680 tra uomini e donne che hanno scaricato l’app di Uninettuno per l’apprendimento della lingua italiana e ben 480 rifugiati che inseguono un titolo di studio superiore.
Sono tantissimi i rifugiati aspiranti ingegneri, soprattutto provenienti da paesi arabi; seguono a ruota gli studenti di Economia. I contenuti, in arabo, inglese e francese, sono stati creati da professori provenienti da varie parti del mondo, tra cui docenti dell’università di Damasco e di Aleppo.
Emblematico è il caso del primo iscritto, un giovane rifugiato di un campo profughi in Libano, che proprio dell’università di Aleppo era studente prima d’essere costretto a scappare dalla guerra. Attraverso una ricerca sul web sarebbe arrivato a rintracciare un suo ex professore, adesso collaboratore di Uninettuno. L’uomo, come numerosi altri colleghi, ha trasformato la loro professione in un faro di speranza per migliaia di persone.