La macchia della corruzione continua a tenere in ostaggio le università italiane: se per alcuni è ormai una prassi cui bisogna rassegnarsi, per altri è segno di una sconfitta, lacerante, umiliante, insopportabile, al punto da togliersi la vita. È quello che è accaduto a Luigi Vecchione, 43enne di Alatri, nel frusinate, fino a pochi mesi fa attivo come Ricercatore presso la prestigiosa “La Sapienza” di Roma, che si è da pochi giorni tolto la vita in segno di protesta contro un sistema di padroni e favoriti.
Il percorso di Vecchione era stato abbastanza travagliato, fin dai primi anni: figlio di un poliziotto, era entrato anch’egli nel corpo di Polizia, appena maggiorenne, per scontare l’anno di servizio militare, finendo poi per dedicarsi alla meccanica svolgendo una serie di lavoretti: dal riparatore di telefoni ed oggetti elettronici in un negozio locale fino all’assunzione per conto di un’azienda, la Bitron, incarico più profittevole e di più lunga durata. Gli anni lavorativi erano però accompagnati dagli studi in Ingegneria proprio all’interno del noto ateneo romano, in cui Vecchione aveva conseguito il titolo nel 2011, avendo anche modo di vincere un dottorato di ricerca presso l’Università della Tuscia, affiliata alla città di Viterbo.
In qualità di tecnico, Vecchione ha partecipato ad un concorso proprio presso “La Sapienza che prevedeva la produzione di idrogeno a partire dall’ammoniaca e per il quale erano previsti solo quattordici concorrenti, molti dei quali ritiratisi. La rabbia dell’ingegnere nasceva, però, dall’aver constatato come non solo per il vincitore ma anche per gli altri tre classificati i piazzamenti fossero già stati decretati, per merito di protezioni pregresse da cui il Vecchione era invece esente. Il rapporto collaborativo con l’ateneo era continuato, almeno fin quando lo stesso ricercatore ha trovato la forza di presentare una denuncia contro l’università stessa che aveva messo in palio quei posti.
Affidatosi ad un avvocato, Vecchione si era visto rescindere il suo contratto a partire dal 31 agosto scorso, aggiungendo frustrazione e confidando nei tempi della giustizia italiana: nonostante le garanzie dategli, i tempi dell’eventuale indagine si sono allungati, quasi a voltare le spalle al ricercatore. L’ultimo atto è stato proprio quel colpo di pistola, mercoledì scorso, con cui ha perso la propria vita, non prima di aver firmato una lettera con cui chiedeva scusa ai genitori, aggiungendo di “essere stato trattato come un mafioso”.
Questo post è stato pubblicato il 12 Novembre 2018
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