Al Cambridge il primo embrione artificiale, permetterà lo studio di molte malattie

Embrione artificiale di 72 ore (fonte: Berna Sozen-Kaya, Zernicka-Goetz Lab, University of Cambridge)

Ottenuto il primo embrione artificiale. E’ di topo e si è formato a partire da cellule staminali che si sono assemblate dando origine a una struttura tridimensionale simile a un embrione naturale. Descritto sulla rivista Science, il risultato per la prima volta permette, in linea di principio e solo teoricamente, lo sviluppo di un individuo fuori dall’utero, anche se questa è solo possibilità teorica e applicabile solo in alcuni settori, come la zootecnia.

Dopo anni di tentativi, è stato raggiunto uno dei risultati più attesi dalla biologia dello sviluppo e considerato la chiave per rispondere a tante domande ancora aperte, come i meccanismi all’origine di molte malattie, le cause dell’infertilità maschile o ancora perchè nove embrioni su dieci non riescono ad attecchire nell’utero.

L’embrione artificiale è stato ottenuto nell’università britannica di Cambridge da Sarah Harrison e da una veterana dell’embriologia, Magdalena Zernicka-Goetz, allieva del pioniere della biologia dello sviluppo John Gurdon. Le ricercatrici hanno ottenuto l’embrione cercando di mimare il più possibile il mix di cellule che in condizioni naturali contribuisce a generare un nuovo individuo.

Finora i tentativi di far sviluppare un embrione in laboratorio finora erano falliti perchè si erano utilizzate solo le cellule staminali destinate a formare l’organismo, ma non quelle del tessuto che lo nutre (trofoblasto) e dal quale ha origine la placenta. “E’ un risultato molto importante che, per la prima volta, indica che in linea teorica è possibile che un embrione possa svilupparsi fuori dall’utero”, ha rilevato il direttore del Laboratorio di Biologia dello sviluppo dell’università di Pavia, Carlo Alberto Redi. Tuttavia questa al momento è solo una prova di principio.

Nonostante l’embrione artificiale sia simile a un embrione naturale, per i ricercatori è improbabile che possa svilupparsi per dare origine a un feto sano. Perchè questo possa avvenire bisogna utilizzare anche le cellule staminali che permettono la formazione del sacco vitellino, la cui rete di vasi sanguigni è indispensabile per nutrire l’embrione.

“Avere a disposizione un embrione artificiale è un passo in avanti per le conoscenze di base relativi ai primi stadi della vita”, ha detto il genetista Edoardo Boncinelli. “E’ anche un passo significativo – ha aggiunto – per ridurre al minimo l’uso degli animali nei laboratori”.

Una Google Earth delle cellule
Una Google Earth delle cellule destinate a formare un nuovo individuo: è questo uno dei grandi vantaggi di avere a disposizione un embrione artificiale in 3D. Osservare le cellule nella struttura tridimensionale che imita perfettamente la morula, ossia l’agglomerato di cellule la cui forma ricorda quella di una mora, “permette non soltanto di osservane lo sviluppo, ma di comprenderne il comportamento a seconda della posizione che occupano”, ha detto Redi.
Ci sono infatti moltissime informazioni che una cellula acquisisce dall’ambiente in cui è immersa e dalla particolare posizione che occupa e adesso è possibile conoscerle. Questa, per Redi, è solo una delle possibili ricadute: diventa possibile, ad esempio capire i meccanismi che permettono all’embrione di superare le primissime fasi cruciali dello sviluppo e di attecchire nell’utero, e spiegare perchè il 90% degli embrioni generati non attecchisce. (Ansa)

Questo post è stato pubblicato il 4 Marzo 2017

Redazione

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