Cosa hanno in comune bambini e pulcini? Entrambe le specie sono attratte fin dai primi momenti di vita dai volti e da chi si prende cura di loro. Bambini e pulcini cercano subito, istintivamente, una guida affidabile che li aiuti a orientarsi e a sopravvivere nel mondo. Ma mentre noi esseri umani da neonati siamo tanto immaturi da richiedere cure e nutrimento a lungo da parte dei genitori, al contrario i pulcini, subito dopo la schiusa e prima di aver avuto un qualsiasi contatto con il mondo esterno, sono già autonomi. Questa è una condizione ideale per studiare i loro comportamenti spontanei, ancor prima che possano apprendere dal mondo esterno. E per capire tante cose su come funziona non solo il loro, ma anche il nostro cervello e, in particolare sulla presenza innata di un “cervello sociale”. Le osservazioni sui comportamenti dei pulcini sono alla base dei test che vengono poi sviluppati sugli esseri umani. Osservazioni preziose, perché permettono, ad esempio, di individuare variazioni patologiche in modo precoce.
In uno studio, pubblicato oggi sulla rivista Scientific Reports, del gruppo Nature, un gruppo di ricercatori italiani coordinati dal Centro interdipartimentale Mente/Cervello (CIMeC), dell’Università di Trento dimostra che la preferenza verso gli “oggetti sociali” – ad esempio i tratti che ricordano un volto o la forma di un individuo della stessa specie – ha una base di variabilità genetica. Che si potrà ora studiare.
«La variabilità dei comportamenti rispetto agli “oggetti sociali” è un tratto distintivo che negli esseri umani determina diverse propensioni sociali e può sfociare in disturbi dello spettro autistico» spiega Elisabetta Versace, ricercatrice del CIMeC e prima autrice dello studio. «Sapere che alcune componenti genetiche influenzano le primissime reazioni dei neonati all’ambiente sociale potrà aiutare a determinare il rischio di sviluppare disturbi dello sviluppo e pianificare interventi adeguati. Insieme ai risultati dei nostri colleghi del CIMeC, che hanno recentemente mostrato la minore attrazione dei neonati umani ad alto rischio familiare di autismo per i tratti del volto umano, questo studio apre la strada alla determinazione di fattori di rischio e alla possibilità di intervento precoce».
La ricerca rientra nell’ambito di un progetto ERC (European Research Council) sullo studio delle predisposizioni precoci all’individuazione degli esseri animati coordinato da Giorgio Vallortigara. Lo studio è stato condotto da Elisabetta Versace del CIMeC in collaborazione con le ricercatrici Ilaria Fracasso e Antonella Dalle Zotte dell’Università di Padova (Dipartimento di Medicina Animale, Produzioni e Salute – MAPS) e con Gabriele Baldan dell’Istituto Istruzione Superiore Agraria “Duca degli Abruzzi” di Padova.
L’esperimento
Il progetto prende le mosse da osservazioni condotte da altri gruppi di ricerca fin dagli anni Ottanta. Come altri neurobiologi ed etologi prima di loro, il gruppo di ricerca del CIMeC ha lavorato con pulcini appena nati, che ancora non avevano visto nulla del mondo.
La preferenza dopo la nascita, sia nei pulcini sia negli esseri umani, si manifesta verso qualcosa che di un volto o della figura di un nostro simile abbia anche solo la parvenza. Del resto, come mostrano le emoticon che tanto si utilizzano nei social network, per indicare una faccia che sorride bastano due puntini e una linea incurvata. Riconoscere questi abbozzi di facce, serve ai pulcini e anche a noi umani come indizio utile per orientarci verso qualcuno.
«Abbiamo messo a confronto le preferenze spontanee osservate in tre diverse razze avicole venete (Padovana, Polverara e Robusta maculata), geneticamente isolate per almeno 18 anni (nell’ambito del progetto di conservazione delle razze avicole venete CO.VA), ma cresciute nello stesso contesto e secondo identiche modalità» dice la ricercatrice Elisabetta Versace del CIMeC. I ricercatori hanno mostrato ai tre gruppi di pulcini sia una gallina intera impagliata sia un’analoga gallina impagliata, ridotta però a pezzi e ricomposta in modo casuale. E li hanno poi lasciati liberi di rivolgere la loro attenzione verso l’una o l’altra. Risultato? Dopo l’iniziale predilezione condivisa per la gallina dalla forma naturale, sono subito comparse le prime differenze tra razze. I diversi stili di attaccamento che emergono già 5 minuti dopo le prime esperienze sociali sono un indizio della base genetica delle diverse strategie di relazione e interazione con gli oggetti sociali. «Il prossimo passo sarà indagare queste basi genetiche per capire quali siano le specifiche varianti che determinano la maggiore o minore propensione i comportamenti».
Lo studio è disponibile online all’indirizzo: http://www.nature.com/articles/srep40296