L’uomo è più antico di quasi 700.000 anni. Il genere Homo è infatti comparso circa 2,8 milioni di anni fa e a spostare indietro le lancette dell’evoluzione umana sono due studi pubblicati sulle riviste Science e Nature. Il primo, dell’Università dell’Arizona, descrive un fossile recentemente scoperto in Etiopia; il secondo, dell’Istituto Max Planck di Lipsia, analizza con tecniche moderne fossili trovati negli anni ’50.
Percorrendo strade completamente diverse, i due studi arrivano alle stesse conclusioni: i primi rappresentanti del genere Homo sono più antichi del previsto. I resti fossili che lo dimostrano sono stati individuati nel 2013 in Etiopia, insieme ad altri fossili di Homo Habilis scoperti in Tanzania negli anni ’50 studiati adesso con nuove tecniche. Il fossile scoperto in Etiopia è la più antica testimonianza diretta dell’esistenza di uno dei nostri progenitori e sposta così le lancette dell’evoluzione umana indietro nel tempo di circa 700.000 anni. E’ il fossile di una mandibola, ritrovata nel sito diLedi-Geraru, e ha delle caratteristiche moderne, tipiche delle specie appartenenti al genere Homo. A differenza di quella degli Australopiteci (da cui ebbero origine gli Homo), questa mandibola è più ‘simmetrica’, con molari sottili e premolari simmetrici.
A retrodatare la comparsa dell’uomo, in modo indiretto, anche lo studio pubblicato da Nature. Utilizzando metodi di tomografia computerizzata e tecnologie di visualizzazione 3D applicate a fossili scoperti decine di anni fa, i ricercatori hanno ricostruito l’evoluzione di alcune caratteristiche degli Homo e le connessioni con gli Australopiteci. Un’analisi che concorda pienamente con il fossile di Ledi-Geraru, tanto che, ha spiegato Spoor, il fossile ritrovato “rappresenta un plausibile ‘link’ tra l’Australopithecus afarensis e l’Homo habilis”.
Ansa