Jaroma, Arbarakka e Naagode sono tre parole pronunciate da volti di origine diversa, ma legate da un unico significato: grazie. Non importa che la lingua parlata sia il fulla, il mandi o l’albanese, i ragazzi che dal Gambia e dal Gahana sono arrivati in Sicilia non fanno distinzione, non esitano a ringraziare chi, lo scorso anno, li ha accolti con la bellezza delle parole e dei gesti.
«Akilu, Ara, Modou, Susso, M.L., Omar e Adam dicono di avere tra i 17 e i 18 anni, sicuramente non è così. Uno di loro è alto due metri e un altro ama sentirsi chiamare con le iniziali del suo nome. Ognuno ha un dono che lo distingue dall’altro, una storia che porta nel cuore e che non può dimenticare. Non riescono a finire nemmeno un puzzle, perché la loro mente è altrove, lontano, nella Terra che hanno lasciato. Il loro pensiero approda continuamente nel ricordo delle famiglie distanti». Li presenta così la professoressa Sara Lo Faro, lei, che tornata dal suo viaggio in Senegal, nel 2004, ha realizzato una raccolta di foto e parole in cui ha descritto “il canto di un’Africa d’ebano”. Quel canto non si è mai allontanato da lei, quelle immagini hanno continuato a scorrere nei suoi occhi, immagini di “angeli sopravvissuti/angeli insonni/angeli ai bordi delle pozzanghere”, angeli che hanno dovuto abbandonare il loro Paese per avere nuove ali e che lei ha incontrato nuovamente nella sua Terra.
Non importa se non sono gli stessi ragazzi fotografati undici anni fa, quando li ha rivisti a Caltagirone ha regalato loro dei palloni, forse per ricordare da vicino le immagini dei giovani del Senegal che giocavano in immaginari campi di calcio. Quel regalo per lei non è stato abbastanza e per questo ha deciso di fare di più per loro, di portarli a dire non solo “grazie”, ma “we are a big family”. I ragazzi sono giunti in centotrenta, a maggio 2014, e sono stati ospitati presso il centro accoglienza immigrati di Caltagirone, dove durante l’estate la professoressa ha tenuto un corso di alfabetizzazione. Hanno partecipato a questa iniziativa anche alcuni suoi allievi, ricevendo una prima lezione di crescita collettiva e di integrazione.
«Non sono stata io a insegnare qualcosa a loro, ma loro a me. L’esperienza è talmente grande da non poter essere descritta con facilità». – Nicoletta, che ha vissuto l’esperienza estiva e continua a condividere con loro alcune ore di lezione, ha iniziato a raccontare con queste parole la sua storia e ha proseguito con un piccolo aneddoto – «Nonostante si cerchi di integrarli, spesso, tendono a chiudersi e ad allontanarsi da noi. Credo che questo sia legato alla loro esperienza. Mi hanno raccontato che nella loro Terra si salutavano tutti, fermarsi a scambiare parole e pensare bene degli altri per loro era normale, ma qui è stato tutto diverso. Quando provano a interagire con noi, a volte, trovano un muro davanti che li costringe a riacquistare la propria identità con fatica. Chi li guarda crede di avere di fronte il diverso e questo li colpisce ferendoli profondamente». Per liberarli dai nostri pregiudizi Nicoletta ha pensato di cantare con loro la canzone Volare, perché, forse, è con le ali che si va più in alto verso un cielo dove i colori non fanno più la differenza.
Anche Concetta, una sua compagna di classe, ci ha parlato della sua esperienza: «Qualche volta ho partecipato alle lezioni tenute presso il centro d’accoglienza e dall’ entusiasmo della professoressa ho capito che presto sarebbe arrivata qualche novità per tutti i suoi alunni. La mia gioia non è stata condivisa sin da subito da mio padre, che non si mostrava tanto favorevole a questa mia scelta, ma sono andata oltre i preconcetti, ho provato a distinguere i volti dei ragazzi che spesso sono considerati solo una massa. Ho imparato a conoscerli e sono rimasta travolta, in modo particolare, dall’intelligenza di un ragazzo e dal suo approccio veloce verso una lingua difficile come l’italiano».
Stefano ha iniziato la sua esperienza tra le vie di Caltagirone, usciva già con alcuni di loro dando il più grande esempio di integrazione, raccontandolo a noi e alla sua classe con gli occhi della gioia.
La felicità di Stefano, Nicoletta e Concetta si è mantenuta viva attraverso il progetto adottato dal Liceo Classico “Bonaventura Secusio” , grazie al grande impegno della professoressa Sara Lo Faro e del Dirigente Scolastico, dott.ssa Concetta Mancuso, che hanno portato avanti le loro idee nonostante alcuni dissensi iniziali da parte dei colleghi e dei genitori. Dal centro d’accoglienza, 21 di questi ragazzi, sono stati trasferiti a Grammichele e dal primo dicembre partecipano come uditori alle lezioni di italiano, latino, greco tenute dalla professoressa Lo Faro, interagiscono durante le ore di inglese e giocano insieme ai ragazzi del Secusio durante le ore di educazione fisica.
È l’unico caso in Italia in cui i ragazzi extracomunitari entrano nelle scuole come uditori, solitamente vengono realizzati corsi ad hoc di cui sono gli unici destinatari. Ma la loro necessità è quella di comunicare, di scoprire la nostra cultura attraverso la loro, come ci ha raccontato Agnese: «Accanto a me si siede sempre uno di loro e in lui vedo una gran voglia di conoscere le nostre famiglie, la nostra cultura e religione, nonostante il suo credo sia diverso dal nostro. Questa sua apertura è la testimonianza più alta del nostro essere barbari nei confronti delle tradizioni diverse dalle nostre».
Nicoletta, Concetta, Stefano e Agnese sono solo alcuni dei ragazzi che stan
L’insegnamento che stanno ricevendo i ragazzi della IV e V B va oltre qualsiasi interrogazione e spiegazione, sono i protagonisti di un processo d’ integrazione che alimenta il valore educativo della scuola.
Questo post è stato pubblicato il 12 Febbraio 2015
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