Da sempre oggetto di studi, ricerche e controversie, oggi il dialetto sembra essere un gradino indietro rispetto all’italiano. Stando ai dati Istat del 2012, solo il 9% della popolazione italiana, indipendentemente dal livello sociale delle famiglie, utilizza il dialetto. Una percentuale che si è più che dimezzata (nel 1995 era al 23,7%) e che sembra una pratica più diffusa al Centro e nel Nord-Ovest. Oltre al contesto territoriale, anche il peso dell’istruzione è uno tra i fattori determinanti. Infatti, secondo lo studio dell’Istat, usano prevalentemente il dialetto in famiglia e con gli amici coloro che hanno un titolo di studio basso (sono il 24,3% tra chi possiede la licenza elementare), mentre tra i laureati solo l’1,7% si esprime quasi esclusivamente in dialetto. Ma nel complesso anche in questo caso le differenze sociali nell’uso dell’italiano sono in diminuzione rispetto al passato.
Dati che si riflettono positivamente anche all’estero. Infatti, dal convegno organizzato a Firenze il 21 e 22 ottobre dalla Farnesina è emerso che la lingua di Dante, ricca di storia e tradizione, è la quarta più studiata al mondo. Si allarga geograficamente la diffusione della nostra lingua, che adesso abbraccia non solo i paesi europei, imparentati dal filone romanzo, ma anche aree che vanno dall’Est europeo, Russia in testa, al Magreb, fino ai Paesi arabi e al Vietnam.
Diversi sono i progetti che si stanno vagliando per rilanciare e riorganizzarne lo studio. Si punta soprattutto al web: in agenda c’è la creazione di un portale dell’italiano che metta insieme l’offerta dei corsi, lezioni online, formazione a distanza per i prof e un osservatorio permanente. L’Indire, l’istituto nazionale di documentazione e ricerca del ministero dell’Istruzione ha già pronto un progetto i cui contenuti sono stati realizzati in collaborazione con l’Accademia della Crusca.
Tuttavia, una nota dolente in Italia rimane la conoscenza di una seconda lingua: soltanto il 15% delle persone ha dichiarato di avere un livello di conoscenza elevato su una lingua straniera. Il 30%, invece, dichiara di avere una conoscenza molto superficiale.
E allora partono le polemiche: da una parte c’è chi preferisce l’internalizzazione, puntando sulla conoscenza di una lingua estera attraverso l’investimento sui docenti madrelingua, dall’altra parte, invece, c’è chi denuncia il sistema dell’istruzione, accusandolo di non investire sugli insegnanti italiani.
Ciò che è certo è che le lingue sono state e saranno sempre veicolo essenziale per allargare i confini sia nazionali che internazionali.
Questo post è stato pubblicato il 28 Novembre 2014
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