Riprendiamo dal blog del fatto Quotidiano un post di Federico Marcon che ci racconta le differenze fra l’Università italiana e l’Università Australiana.
Qualche giorno fa sono stato a pranzo da una coppia di australiani conosciuti da poco tempo in maniera abbastanza casuale. Entrambi sui 45 anni, lavorano come insegnanti in scuole medie statali. Hanno due figli in età universitaria ed un terzo figlio, disabile, in affidamento da vari anni. Vivono nel centro di Melbourne, accanto alla piazza principale della città, in un palazzo con appartamenti piuttosto ampi e dotato di una piscina condominiale nel giardino interno.
Dopo pranzo, si è presentato il loro figlio che studia economia in una delle migliori Università di Melbourne ed è in partenza per compiere un master a Yale. Mentre li osservavo, vittima del mio background antropologico italiano, mi chiedevo tra me e me come una famiglia composta da due insegnanti si potesse permettere tutto questo. Mi pareva qualcosa di impensabile se comparato alla condizione di una famiglia similare in Italia. E lì, in quel preciso momento, ho capito i danni irreversibili che la situazione sociale ed economica sviluppatasi in Italia negli ultimi 20 anni ha provocato nella psiche della mia generazione.
Cosa c’è di strano, infatti, se una coppia di persone laureate, che svolgono un lavoro intellettuale di enorme rilevanza per la comunità, godono di un benessere economico che permette loro di scegliere una bella casa e le migliori Università per i figli? A pensarci bene, è del tutto normale. Quello che è anormale, invece, è la lotta continua che la classe media italiana deve combattere contro un progressivo impoverimento conseguente all’erosione dei risparmi delle generazioni precedenti. Perché un insegnante in Italia a 45 anni deve essere (sovente) ancora precario oppure, se è fortunato, può al massimo permettersi un appartamentino in affitto in qualche quartiere periferico? Sono anormali gli australiani o lo siamo noi?
È tutta questione di come si imposta la struttura sociale di un paese per garantire le pari opportunità di riuscita. Sentirete molto spesso dire che il sistema educativo australiano è fortemente sbilanciato verso il privato. Bugia colossale: ci sono le scuole secondarie private, che costano un occhio della testa (sui 18.000 euro annui) per chi desidera godere non tanto di miglior insegnanti ma di infrastrutture scolastiche e sportive di primo livello. Ma ci sono tante scuole pubbliche di ottima caratura, che garantiscono la medesima qualità di insegnamento. Gli studenti che ottengono i voti migliori al college hanno poi un “diritto di scelta” prioritario sulla facoltà ed Università da frequentare, mentre coloro che hanno ottenuto i voti più bassi devono accontentarsi di frequentare le Università meno blasonate.
Gli studi universitari, che una volta erano totalmente gratuiti, ora non lo sono più: ma lo studente non deve sborsare una lira in realtà, in quanto gode di un prestito governativo che dovrà rimborsare dopo che avrà iniziato a lavorare, e solamente se guadagnerà una determinata cifra. Capite adesso perché la classe media può permettersi di vivere una vita agiata, senza svenarsi per garantire il futuro dei figli? E perché i ragazzi australiani sin dalla giovane età capiscono cosa vuol dire investire sul proprio futuro, senza appoggiarsi alle ricchezze accumulate negli anni dai loro avi?
Nella disastrosa situazione economica che sta vivendo l’Italia è giusto dare priorità ai più poveri, vittime di un tasso di disoccupazione divenuto intollerabile e di un’emergenza abitativa continua. Perché ormai si parla, molto spesso, di persone che non sono sicure di poter mettere in tavola un pasto al giorno, Ma ricordiamoci che la vera crisi strutturale, che temo avrà effetti di lunga durata, è il progressivo indebolimento di una classe media, composta appunto da insegnanti, professionisti ed artigiani, che è arrivata al punto di accettare come dato acquisito il fatto di non potersi permettere una vita non dico lussuosa, ma almeno decente. E che vive in una attitudine formata alla riduzione del danno piuttosto che alla creazione di un futuro migliore, per sé e per le generazioni a venire.